Il Blu Giapponese

Alain July 5 at 22:28
All blogs
















La primissima storia scritta del Giappone, che era un mix di realtà e mitologia fa menzione di soli quattro termini relativi al colore, che rappresentano principalmente le categorie, dello scuro, del chiaro, del luminoso e del vago. Con il tempo questi antichi termini si sono evoluti per avere il significato di 白 shiro (bianco), 黒 kuro (nero), 赤 aka (rosso) e 青 ao (blu/verde).



( Sull'uso e le tradizioni legate al rosso trovale il bel blog di Lino al seguente link Il colore rosso - 赤という色。)


( Concetti mitologici che riguardano i quattro colori qui le_quattro_bestie_sacre_四神 )



Questa iniziale mancanza di varietà cromatiche, in un popolo che ha sicuramente oggi un’attenzione particolare agli aspetti visivi della realtà non deve però sorprendere: vari studi evidenziano come il colore sia un fatto culturale molto più che percettivo e mostrano come la distinzione netta tra verde e blu appaia più tardi nel linguaggio. Rispetto a quella tra bianco, nero e rosso.Tanto che alcune lingue hanno avuto e a volte hanno ancora un solo termine che assimila i due toni blue e verde in un’unica parola.


Non fanno eccezione nemmeno alcuni testi classici tra i più importanti della nostra civiltà. Molto precisi in alcune descrizioni. Ma non su quelle relative alle gradazioni di colore. Ad esempio nell’Iliade e nell’Odissea Omero utilizza il termine glaukòs, che indica sia il verde, sia il blu, sia il grigio. A volte addirittura il giallo o il bruno. Per questo viene usato indistintamente per definire il colore dell’acqua, degli occhi, delle foglie o del miele.


 Ma torniamo invece alla distinzione tra il blu e il verde in Giappone.


Verso la fine del millennio nel periodo Heian che va dal 794 al 1185 fa la sua prima timida apparizione midori 緑 la parola giapponese che indica il verde. Ma anche in questo caso veniva considerata ancora una nuance di blu! Questo creò inevitabilmente una certa ambivalenza. Ancora oggi ci sono cose verdi denominate con termini appartenenti alla categoria del blu: aoringo 青林檎 (mela blu) che in realtà è verde. I bambù verdi sono chiamati aodake 青竹 ( bambù blu).


 Questo ci porta alla storia del semaforo in Giappone chiamato 青信号 Aoshingoo. il primo semaforo venne importato dagli Stati Uniti nel 1930 ed aveva chiaramente una luce verde. Nonostante questo la documentazione ufficiale si riferiva al semaforo con la parola ao (blu) piuttosto che midori (verde) . L’insistenza dei linguisti perché venisse usato il termine appropirato midori e la necessità di conformarsi alle consuetudini internazionali in merito ai semafori ha prodotto un compromesso. Nel 1973, il governo ha imposto, tramite un ordine del gabinetto, che i semafori utilizzassero la tonalità di verde più blu possibile, ancora tecnicamente verde, ma notevolmente blu abbastanza da continuare legittimamente a utilizzare la nomenclatura ao . Mentre il giapponese moderno consente una chiara delineazione tra blu e verde, il concetto di blu che comprende ancora sfumature di verde rimane ancora saldamente radicato nella cultura e nella lingua giapponese.

Se ne volete sapere di più c’è il bellissimo video di Kunyomi







Il blu giapponese

È ancora una pianta a connetterci idealmente con il Giappone. Se in precedenza era stato il Silfio una pianta estinta il cui seme ha portato alla forma attuale dell'emoji dell'amore. (Trovate l'incredibile storia nel link sopra)




Questa è la volta di una pianta ancora coltivata in Giappone. Parliamo della Persicaria tinctoria, una pianta fiorita della famiglia delle Polygonaceae importata in Giappone dalla Cina meridionale; l’indaco. Il colore blu dei samurai, il blu giapponese! 藍い (ai). Considerato anche il colore dell'amore per via della sua assonanza con 愛 (ai) amore.

L'indaco è il colorante vegetale più antico conosciuto dall'uomo, utilizzato da migliaia di anni in luoghi come l'antico Egitto, dove sono stati scoperti resti mummificati avvolti in tessuti tinti di indaco. Entrò in Giappone attraverso la Via della Seta intorno all VIII o IX secolo e come per tante altre cose, assunse presto il suo tocco giapponese unico.


 L’uso della tintura indaco conosce tre fasi in Giappone la prima nel periodo Heian (794-1185) lo vede come il colore usato dalla nobiltà di altissimo rango.


La xilografia del maestro dell’ukiyo-e Hiroshige, Wakamurasaki, mostra il Principe Genji, che intravede per la prima volta Lady Murasaki. La vita di corte nel periodo Heian (794-1185), dove si svolge la storia, era caratterizzata da sgargianti kimono dai colori vivaci, ma quello di Genji a Wakamurasaki si distingue perché è un blu scuro più tenue con un motivo a quadrati bianchi. Si tratta di uno dei primi scorci sulla tintura indaco in Giappone.


Il secondo periodo è nel XII secolo quando i samurai indossavano indumenti indaco sotto la propria armatura in quanto utili per proteggere la loro pelle da vari disturbi e per rinfrescarla. Aveva anche proprietà antibatteriche, poiché le ferite della spada infestate da batteri guarivano più rapidamente.


Una ragione meno conosciuta dell'amore dei samurai per l'indaco è che il suo colore liquido è chiamato "kachi" in giapponese. Questa è anche la parola per "vincere", rendendo l'indaco indispensabile per i superstiziosi guerrieri giapponesi dell’epoca.


La terza e ultima fase dell'evoluzione avvenne durante il periodo Edo (1600-1868). Fu allora che l’indaco ebbe una diffusione di massa; per così dire. Alla gente comune era stato proibito dallo Shogun di indossare colori troppo sgargianti, limitando la scelta dei colori da usare nel vestiario a tonalità tenui come il blu, il marrone o il grigio. Questo permise all’indaco, per le sue proprietà estetiche e funzionali, di diffondersi rapidamente. Anche il cotone e la canapa si rivelarono relativamente facili da tingere con l'indaco, dato che solo i nobili potevano indossare la seta in quel periodo.


 Presto, in Giappone esplose la moda dell’indaco, poiché tutti, dai mercanti agli agricoltori - che, come i suddetti samurai trovarono molti usi pratici nelle proprietà medicinali (e repellenti per gli insetti) iniziarono a usare l’indaco praticamente ovunque nella loro vita quotidiana. Non c'è da stupirsi che R.W Atkinson un chimico britannico, quando visitò il Giappone nel 1874, vide così tanti tessuti tinti in indaco, anche tra la gente comune, che etichettò il colore "Japan Blue".


 L’indaco è anche ignifugo e resiste fino alla temperatura di 815 C°. Si rivelò indispensabile nel proteggere il neonato corpo dei pompieri durante il terribile incendio del 2 marzo 1657 ad ovest di Edo (l’odierna Tokyo)


Il periodo Edo fu in gran parte di pace e ciò cambiò gradualmente il ruolo dei samurai nella società. L'élite dei samurai confuciani avrebbe dovuto stare alla larga da "piccole preoccupazioni commerciali", ma l'economia in evoluzione significava anche una classe di samurai in evoluzione. Non potevano più ignorare l'interesse dei loro daimyo (signori feudali) per il commercio. La produzione dell'indaco divenne così anche un prodotto pregiato da esportare.



Il blu di prussia


La stampa ukiyo-e più famosa di tutte, La grande onda di Kanagawa di Hokusai (1830-1831), fa un ampissimo uso del blu.

Il pigmento usato è il blu di Prussia, un colore sintetico, importato in Giappone dai Paesi Bassi a partire dal 1820. Da allora dilagò una vera e propria “rivoluzione blu”, in cui si diffusero xilografie interamente in blu dette aizuri-e.

Simbolismo del colore blu in Giappone



Purezza


Il blu simboleggia tutto ciò che è puro e trasparente, come il cielo. Come la maggior parte delle culture, la purezza è una qualità molto apprezzata nella cultura giapponese. I neonati sono solitamente avvolti in tessuti di colore blu. Il blu è spesso indossato anche dalle donne incinte e dalle donne che cercano marito. Il blu ha una connotazione simile in molte culture, probabilmente a causa della sua associazione con le fonti d'acqua. Potrebbe anche essere perché il blu è uno dei pigmenti naturalmente procurati, soprattutto nei paesi asiatici, attraverso le piante di indaco. Prima dell'era dei pigmenti sintetici e dei coloranti industriali, l'indaco era un agente colorante popolare e ampiamente utilizzato nell'abbigliamento. Per questo motivo, diverse occasioni e incontri di buon auspicio coinvolgevano persone che indossano abiti azzurri. È interessante notare che i tessitori e le persone incaricate della tintura dei tessuti erano noti per indossare il bianco e non il blu.





Femminilità


Il blu è una scelta popolare per l'abbigliamento in Giappone e il colore preferito da oltre il 40% della popolazione secondo un sondaggio del 2019. È il colore più utilizzato nei kimono, indossato dalle donne. Il colore blu è associato alla verginità e alla femminilità. Questo è interessante se confrontato con la percezione occidentale in cui il blu è il colore degli uomni e il rosa quello delle donne. Le scelte occidentali per ragazze e bambine raramente coinvolgono oggetti blu. Il concetto di una donna ideale nei tempi antichi aveva molto a che fare con la purezza della mente e del corpo. L'associazione del blu con la femminilità è probabilmente anche dovuta alla sua associazione con la purezza e l'innocenza.





Nello sport


Calcio


Il blu, è anche il colore della maglia della nazionale giapponese di calcio. I giocatori vengono chiamati Samurai Blu e pare che sia stato mantenuto questo colore, in quanto, indossandolo, la squadra dell’università di Tokyo, che rappresentava il Paese al Far East Championship nel 1930, vinse la prima partita del campionato. Così nel tempo è stata mantenuta la maglia blu, in pieno stile scaramantico nipponico. Il blu è in generale tradizionalmente considerato uno dei colori fortunati.




Il logo delle olimpiadi


Per le olimpiadi di Tokyo 2020 è stato scelto il blu, nemmeno a dirlo, la tonalità scelta è caduta su ai. Indaco